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Revisionismo storico 2
L'epitaffio del sindaco
Giuseppe Pizzi


Questo testo è iniziato come commento a Revisionismo storico, di cui riprende alcuni concetti ma l'autore si è poi lasciato prendere la mano dall'importanza dell'argomento...

Dice il sindaco che l'eterno riposo lo recita per tutti e non lo nega nessuno. Se è per questo anch'io, ma io sono un privato cittadino, faccio come mi pare e non ne devo rendere conto a nessuno. Lui no, quello che fa in veste ufficiale (come è massimamente il caso se indossa la fascia tricolore) non può liberamente deviare dai suoi compiti istituzionali, cui sono certamente estranee le improvvisate visite al cimitero per le preci ai morti. Cui, peraltro, anche volendo non potrebbe rendere conto, perché le cariche pubbliche sono cose dei vivi per i vivi, ai defunti le fasce tricolori, i gonfaloni e le cerimonie non importano.

Pericle spazio Mariani

Importano qui, fra i vivi. Il sindaco, che ha fatto gli studi classici e conosce l'epitaffio di Pericle agli ateniesi caduti nel primo anno della guerra del Peloponneso, sa bene che le pubbliche onoranze ai morti parlano ai vivi. Del resto, è evidente e dichiarato il suo proposito, attraverso l'omaggio reso congiuntamente ai morti dell'una e dell'altra parte trasmettere ai vivi, ai cittadini che egli rappresenta un messaggio di "riconciliazione". Nobile ma fuorviante proposito, perché la riconciliazione che invoca è acquisita e operante da tempo. 

La riconciliazione "fra le nazioni" è avvenuta con l'armistizio del 45, quella "nella nazione" con l'amnistia del 46, che ha messo una pietra sopra tutti i misfatti, perdonato tutte le responsabilità personali, ripristinato tutti i diritti civili, abolito ogni discriminazione, garantito l'accesso ai pubblici uffici, senza riguardo alla storia passata e alle opinioni politiche, basti ricordare che le pubbliche scuole dalle quali erano stati espulsi gli ebrei e i dissidenti sono rimaste aperte anche a coloro che quelle espulsioni avevano promosso o accolto con favore.

Eppure il sindaco approfitta delle ricorrenze del 25 aprile e del IV Novembre, in cui tutti gli italiani riconciliati sono chiamati a tributare la loro riconoscenza agli artefici di quella riconciliazione, per chiedere: "dopo 64 anni che cosa aspettiamo a parlare di riconciliazione?". Forse non se ne avvede, ma con queste parole è lui a disconoscere la riconciliazione che la storia ci ha consegnato, paradossalmente è proprio lui a sollevare la pietra che pietosamente copre una vicenda tragica della nostra storia. 

Dopo tanto tempo, perché questa insistenza a scoperchiare le tombe? A interrogare i morti? Che cosa ci può essere da riesumare se non un intimo, sottaciuto, nascosto convincimento, che la vittoria degli uni e la sconfitta degli altri sia stata un'ingiustizia della storia? Una ferita da sanare? Che la storia stessa debba essere riscritta, visto che quella che insegnano a scuola conterrebbe - parole del sindaco - "un sacco di balle"? E quindi che anche l'attuale ordinamento politico, in quanto figlio di quella storia sia un mostro da abbattere, e che la Costituzione su cui si regge sia un ingombro da rimuovere? 

Se questo corrispondesse, anche solo in parte, a verità, sarebbe il sindaco ad avere un grave problema di conciliazione, lui che ha giurato fedeltà alla Repubblica e lealtà alla Costituzione.

Giuseppe Pizzi


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  14 novembre 2009